Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/22

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16 barcellona.

onde un vescovo incauto, che sulla fine del secolo passato, volle scoperchiare la tomba, e scoprire la salma sacra, nell’atto che vi fisse lo sguardo, acciecò. In una piccola cappella a destra dell’altar maggiore, rischiarata da molte fiammelle, si vede un Cristo in croce, di legno colorito, un po’ piegato sur un fianco; si narra che quel Cristo fosse sur una nave spagnuola alla battaglia di Lepanto, e che si sia contorto così per scansare una palla da cannone che vedeva venir dritta al suo cuore. Alla vôlta della stessa cappella è sospesa una piccola galea, con tutti i suoi remi, costrutta ad imitazione di quella su cui Don Giovanni d’Austria combattè contro i Turchi. Sotto gli organi, di fattura gotica, coperti di gran tappeti pitturati, pende una enorme testa di Saraceno, colla bocca spalancata, dalla quale, in altri tempi, piovevan confetti ai bambini. Nelle altre cappelle vi è qualche bella tomba di marmo, e qualche pregevole dipinto del Villadomat, pittore barcellonese, del XVII secolo. La chiesa è oscura e misteriosa. Le sorge accanto un claustro, sorretto da grandiosi pilastri formati di sottili colonne, e sormontati da capitelli sopraccarichi di statuette che rappresentano fatti dei due Testamenti. Nel claustro, nella chiesa, nella piazzetta che le si stende dinanzi, nelle stradicciuole che le girano intorno, spira come un’aura di pace melanconica, che nello stesso punto alletta e rattrista, come il giardino di un Camposanto. Un gruppo di orrende vecchie barbute custodisce la porta.