Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/19

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barcellona. 13

fino ai villaggi vicini; è su tutti i colli circostanti sorgono ville, e palazzine, e opifici, che si disputano il terreno, si pigiano, fan capolino l’uno dietro l’altro, e formano intorno alla città una grandiosa corona. In ogni parte si fabbrica, si trasforma, si rinnova; il popolo lavora e prospera, Barcellona fiorisce.


Eran gli ultimi giorni di carnevale. Le strade eran corse da lunghe processioni di giganti, di diavoli, di principi, di mori, di guerrieri, e da uno stormo di certi figuri, che avevo la disgrazia d’incontrar da per tutto, vestiti di giallo, con una lunga canna in mano, in cima alla quale era legata una borsa che andavan cacciando sotto il naso di tutti, nelle botteghe, nelle finestre, fino ai terrazzini del primo piano delle case, domandando un’elemosina, non so in nome di chi, ma destinata probabilmente a pigliar qualche classica sbornia nell’ultima notte di carnevale. La cosa più curiosa ch’io vidi è la mascherata dei bambini. Si usa vestire i bambini al di sotto degli ott’anni, quali da uomini, alla moda francese, in completo assetto da ballo, con guanti bianchi, gran baffi e gran zazzera; quali da Grandi di Spagna, coperti di nastri e di ciondoli; quali da contadini catalani con la berrettina e la manta. Le bimbe, da dame di Corte, da amazzoni, da poetesse con la lira e la corona d’alloro; e gli uni e le altre, poi, col costume delle varie provincie dello Stato, chi da giardiniere di Valenza, chi da gitana andalusa, chi da montanaro basco, i più biz-