Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/195

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madrid. 189


dai palchi all'Arena, tutt'intorno, uno strato bianco ondeggiante sotto il quale sparisce quasi la folla; e dieci mila voci gridano: — fuego! fuego! fuego! — Allora l'Alcade cede; ma se s'ostina nel suo no, i fazzoletti spariscono, s'alzano i pugni e i bastoni, prorompono le ingiurie: — No sea usted necio! — Non faccia il minchione! — Non rompa i corbelli! — Las banderillas al Alcalde!Fuego al Alcalde!

L'agonia del toro è tremenda. Qualche volta il torero non aggiusta il colpo a dovere, e la spada penetra bensì fino all'elsa, ma fuor della via del cuore. Allora il toro si mette a correr l'arena colla spada confitta nelle carni, irrigando il terreno di sangue, mandando altissimi muggiti, divincolandosi e scontorcendosi in mille modi per liberarsi da quella tortura; e in quell'impetuosa corsa, qualche volta la spada salta via; qualche volta si configge più addentro, e gli cagiona la morte. Sovente l' espada è costretto a dargli una seconda stoccata, non di rado una terza, talora una quarta; il toro versa un torrente di sangue; tutte le capas dei capeadores ne sono intrise, n'è macchiato l' espada, n'è aspersa la barriera, per tutto cola sangue, gli spettatori indignati coprono il torero d'ingiurie. Qualche volta il toro profondamente ferito, cade a terra; ma non muore, e resta là immobile, colla testa alta, minaccioso, come per dire: — Venite, assassini, se vi basta l'animo! — Allora la lotta è finita; bisogna accorciar l'agonia; un uomo misterioso scavalca la