Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/241

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madrid. 235


chio ei dice o non dice una cosa, o la dice in un senso meglio che in un altro, secondo che torna o non torna al periodo; ha un'armonia nella mente, la segue, la obbedisce, le sacrifica tutto quello che la può offendere; il suo periodo è una strofa; bisogna sentirlo per credere che la parola umana, senza misura poetica e senza canto, si possa avvicinar così all'armonia del canto e della poesia. È più artista che uomo politico, ha d'artista, non solo l'ingegno, ma il cuore; un cuore di fanciullo, incapace di odio o d'inimicizia. In tutti i suoi discorsi non si trova un'ingiuria; nelle Cortes non ha mai provocato una seria quistione personale; non ricorre mai alla satira, non adopera mai l'ironia; nelle sue più violente filippiche non versa una dramma di fiele; e questa n'è una prova che, repubblicano, avversario di tutti i ministeri, giornalista battagliero, accusatore perpetuo di chi esercita un potere, e di chi non è fanatico per la libertà, non s'è fatto odiare da nessuno. E però i suoi discorsi si godono e non si temono; la sua parola è troppo bella per esser terribile; il suo carattere troppo ingenuo perchè egli possa esercitare una influenza politica; egli non sa armeggiare, tramare e barcamenarsi; egli non è buono che a piacere ed a splendere; la sua eloquenza, quando è più grande, è tenera; i suoi più bei discorsi fan piangere. Per lui la Camera è un teatro. Come i poeti improvvisatori, per aver l'ispirazione piena e serena, egli ha bisogno di parlare a quella data ora, in quel determinato punto e con quel certo