Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/242

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tempo libero dinanzi a sè. Perciò, il giorno che deve parlare, prende le sue misure col Presidente della Camera; il Presidente dispone in modo che gli tocchi la parola quando le tribune sono affollate e tutti i deputati al loro posto; i suoi giornali annunziano la sera innanzi il suo discorso affinchè le signore possano procurarsi il biglietto; egli ha bisogno d'aspettazione. Prima di parlare è inquieto, non può posare un istante, entra nella Camera, esce, rientra, torna ad uscire, gira pei corridoi, va nella biblioteca a sfogliare un libro, scappa nel caffè a bere un bicchier d'acqua, par preso dalla febbre, gli sembra che non saprà accozzar due parole, che farà ridere, che si farà fischiare; del suo discorso non gli rimane una sola idea lucida nella mente, ha confuso tutto, ha dimenticato tutto. — Come va il polso? — gli domandano sorridendo gli amici. Giunto il momento solenne, sale al suo banco col capo basso, tremante, pallido, come un condannato che va a morire, rassegnato a perdere in un sol giorno la gloria conquistata in tanti anni e con tante fatiche. In quel momento i suoi stessi nemici senton pietà del suo stato. Egli si alza, volge uno sguardo intorno, e dice: — Señores! — È salvo; il suo coraggio si rinfranca, la sua mente si rischiara, il suo discorso gli si ricompone nella testa come un'arietta dimenticata; il Presidente, le Cortes, le tribune spariscono; egli non vede più che il suo gesto, non ode più che la sua voce, non sente più che la fiamma irresistibile che lo accende e la forza misteriosa che lo solleva. È