Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/278

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272 toledo.


litudine si faceva più trista; non si vedeva una porta nè una finestra aperta, non si sentiva il più leggero rumore. Un momento ebbi il sospetto che il cicerone fosse di balla con qualche assassino per tirarmi in un luogo appartato e farmi spogliare; una faccia sospetta l'aveva; e poi guardava qua e là coll'aria sospettosa, di chi medita un delitto. "C'è ancora molto?" domandavo io di tratto in tratto; ed egli rispondeva sempre: "Aqui está," e non si arrivava mai. A un certo punto la mia inquietudine si cangiò in spavento: in una stradetta tortuosa si aperse una porta, usciron due uomini barbuti, salutarono con un cenno la pieuvre, e ci vennero dietro. Mi tenni per spacciato. Non c'era che un mezzo di salvamento: menare un pugno al cicerone, da sbatterlo in terra, passare sulla sua carcassa e pigliar la corsa. Ma per dove? E d'altra parte mi vennero in mente gli sperticati elogi che prodiga il Thiers alle jambes espagnoles nella sua Storia della guerra d'Indipendenza; e pensai che lo scappare non sarebbe stato che un espediente per farmi piantare il pugnale nella schiena invece che nello stomaco. Ohimè! morire senza veder l'Andalusia! Morire dopo aver preso tanti appunti, dopo aver dato tante mancie, morire colle tasche piene di lettere di raccomandazione, col portamonete gonfio di dobloni, col passaporto coperto di firme, morire tradito! Come Dio volle, alla prima svoltata, i due barbuti sparirono, e fui salvo. Allora, tocco dal pentimento d'aver sospettato che quel povero vecchio fosse capace d'un