Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/304

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298 cordova.


breggia il cortile. Il vestibolo è lastricato di marmo, la porta fiancheggiata da colonne, sormontata da bassorilievi, chiusa da un sottile cancello di ferro di vaghissimo disegno. In fondo al patio, in dirittura della porta, sorge una statua; in mezzo, una fontana; intorno, seggiole, tavolini da lavoro, quadri, vasi di fiori. Corro a un'altra porta: un altro patio, colle pareti coperte dall'edera, e una corona di nicchie, con entro statuine, busti, urne. M'affaccio a una terza porta: un patio colle pareti lavorate di musaico, una palma nel mezzo, e intorno un mucchio di fiori. A una quarta porta: dopo il patio, un altro vestibolo, dopo questo un secondo patio, nel quale si vedono altre statue, altre colonne, altre fontane. E tutte queste sale e questi giardini son puliti e nitidi da poter passare la mano sui muri e per terra senza che ci resti la traccia; e freschi, odorosi, rischiarati da una luce incerta che ne accresce la bellezza e il mistero.

Avanti ancora, di strada in strada, alla ventura. Via via che cammino, mi s'accresce la curiosità, e affretto il passo. Mi pare impossibile che la città debba esser tutta così; temo d'imbattermi in una casa o di riuscire in una strada che mi richiami alla mente le altre città e rompa il mio bel sogno. Ma no, il sogno dura: tutto è piccino, gentile, misterioso. Ogni cento passi, una piazzetta deserta, nella quale mi arresto trattenendo il respiro; di tratto in tratto un crocicchio, e non un'anima viva; — e sempre bianco e tutto bianco, — e finestre chiuse, — e si-