Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/311

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cordova. 305


a contemplare la vòlta e le pareti della cappella principale, la sola parte della moschea che si conservò quasi intatta. È un luccichìo abbarbagliante di cristalli di mille colori, un intreccio di arabeschi che confonde la mente, una complicazione di bassorilievi, di dorature, di ornamenti, di minuzie di disegno e di colorito, d'una delicatezza, d'una grazia, d'una perfezione da far disperare il più paziente pittore. È impossibile ritener nulla nella mente di quel portentoso lavoro; voi potreste tornar cento volte a guardarlo, che non vi rimarrebbe dinanzi agli occhi, ripensandoci, altro che un formicolìo di puntini azzurri, rossi, verdi, dorati, luminosi, o un ricamo intricatissimo, cangiante continuamente e rapidissimamente di disegno e di colori. Solamente dalla focosa e instancabile immaginazione degli Arabi poteva uscire un siffatto miracolo d'arte.

Ricominciammo a girare per la moschea, osservando qua e là sui muri i rabeschi delle antiche porte che si scoprono via via sotto il detestabile intonaco cristiano. I miei compagni mi guardavano, ridevano e si mormoravan nell'orecchio non so che.

"Non se n'è ancora accorto?" mi domandò l'uno.

"Di che?"

Si riguardarono e sorrisero di nuovo.

"Crede lei d'aver visto tutta la moschea?" ripigliò il compagno.

"Io sì," risposi guardandomi intorno.

"Ebbene," disse il primo "lei non ha veduto


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