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dura, dicono, tutta d’un pezzo, che non ha il capo ad altro che all’aritmetica e alla meccanica; barbari, che farebbero d’una statua del Montanes un frantoio e d’una tela del Murillo un incerato; veri Beoti della Spagna, insopportabili con quel loro gergaccio, con quella musoneria, con quella gravità di pedanti.

La Catalogna, infatti, è forse la provincia di Spagna, che conta meno nella storia delle belle arti. Il solo poeta, non grande, ma celebre, che sia nato in Barcellona, è Giovanni Boscan, che fiorì sul principio del secolo decimosesto, e introdusse pel primo nella letteratura spagnuola il verso endecasillabo, la canzone, il sonetto, e tutte le forme della poesia lirica italiana di cui era ammiratore appassionato. Da che dipende una grande trasformazione, come fu questa, di tutta la letteratura d’un popolo! Dall’esser andato a stare il Boscan a Granata, quando v’era la Corte di Carlo V, e aver conosciuto là un ambasciatore della repubblica di Venezia, Andrea Navagero, che sapeva a memoria i versi del Petrarca, e glieli recitava, e gli diceva: — Mi pare che potreste scriver così anche voialtri; provate! — Il Boscan provò; tutti i letterati di Spagna gli gridaron la croce addosso. E che il verso italiano non sonava, e che la poesia di Petrarca era una sdolcinatura da femminette, e che la Spagna non aveva bisogno di strascicar l’estro sulla falsariga di nessuno. Ma il Boscan tenne duro: Garcilaso della Vega, il valoroso