Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/442

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436 granata.


“In Spagna? Io? Scusi: gli è lo stesso come se mi domandasse: — Sta volontieri lei in galera?”

“Ma perchè?”

“Perchè?... Ma non vede che gente sono gli Spagnuoli: ignoranti, superstiziosi, orgogliosi, sanguinarii, impostori, furfanti, ciarlatani, infami?”

E restò un minuto immobile in un atto interrogativo, con le vene del collo gonfie che pareva gli volessero scoppiare.

“Mi perdoni,” risposi, “il suo giudizio non mi pare abbastanza favorevole per poterle dire che la penso come lei. Quanto a ignoranza, mi scusi, non tocca a noi Italiani, a noi che abbiamo ancora città in cui si pigliano a sassate i maestri di scuola, e si stilettano i professori che danno zero agli scolari; non tocca a noi, per ora, di riveder le buccie agli altri. Quanto a superstizione, oh poveri noi! quando vediamo nella città d’Italia, in cui è più diffusa l’istruzione popolare, seguir un sottosopra da non dirsi, per un’immagine miracolosa della Madonna trovata da una donnicciuola in mezzo strada... Quanto a delitti, io le dichiaro francamente che se dovessi far un raffronto fra i due paesi coi quadri statistici alla mano in presenza d’un uditorio di Spagnuoli, senza conoscer prima i dati e le risultanze, avrei una maledetta paura... Non voglio dire con questo che noi, su per giù, non ci troviamo in migliori acque che la Spagna; voglio dire che un italiano, giudicando gli Spagnuoli, se vuol esser giusto, bisogna che sia indulgente.”

“Non mi va, scusi... un paese senza indirizzo po-