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Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/446

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grazia, una freschezza e una vita da non potersi descrivere. Da ogni parte si sente mormorio di ruscelli e di fontane; si svolta da un viale, s'incontra uno zampillo; ci si affaccia a una finestra, si vede uno schizzo che giunge fino al davanzale; si entra in mezzo a un gruppo d'alberi, e si riceve nel viso gli spruzzi d'una cascatella; dovunque ci si volga, c'è acqua che salta, o che scorre, o che piove, gorgogliando e luccicando tra l'erbe e i cespugli. Dall'alto della loggia scende la vista sopra tutti quei giardini che van giù a chine, a salti, a scaglioni; si sprofonda nell'abisso di vegetazione che separa i due monti, abbraccia tutta la cinta dell'Alhambra, colle cupole dei suoi tempietti, colle torri lontane, coi sentieri che serpeggiano fra le sue rovine; si stende sulla città di Granata, sulla pianura, sui colli, e scorre con uno sguardo solo tutte le cime della Sierra Nevada, che paion tanto vicine da poterci arrivare in un'ora. E mentre contemplate questo spettacolo, vi accarezza l'orecchio il mormorio di cento zampilli e il suono fievole delle campane della città, che vien su a ondate, or sì or no, insieme a un odor misterioso di paradiso terrestre, che dà dei fremiti di voluttà da far impallidire.

Di là dal Generalife, sulla sommità d'un monte più alto, ora nudo e squallido, sorgevano ai tempi degli Arabi altri palazzi reali e si stendevano altri giardini, congiunti fra loro da grandi viali fiancheggiati da mirti. Ora tutte quelle meraviglie d'architettura, coronate di boschi, di fontane e di fiori, quelle fa-