Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/57

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saragozza. 51

detta spagnuola, dalla tez oscurecida e da los negros ojos de fuego, che il Martinez della Rosa, esule a Londra, rammentava con sì caldi sospiri in mezzo a las bellezas del Norte. Passai tra due carrozze, fendetti la calca, tirandomi dietro qualche sacrato che notai subito sul mio quaderno; e traversate alla lesta due o tre stradicciuole, riuscii sulla piazza di San Salvador, davanti alla cattedrale che le dà il nome, chiamata anche la Seo, più ricca e più splendida di Nostra Donna del Pilar.

La facciata greco-romana, benchè di maestose proporzioni, e la torre alta e leggera, non preparano allo spettacolo grandioso del di dentro. Entrai, e mi trovai immerso nelle tenebre; per un istante, i confini dell’edifizio mi restaron celati; non vidi altro che qualche sprazzo di pallida luce, rotto qua e là dalle colonne e dagli archi. Poi, a poco a poco, distinsi cinque navate, divise da quattro ordini di bei pilastri gotici, i muri lontani, e la lunga serie delle cappelle laterali, e rimasi attonito. Era la prima cattedrale che corrispondeva all’immagine ch’io m’ero formato delle cattedrali spagnuole, varie, pompose, straricche. La cappella maggiore, sormontata da una vasta cupola gotica in forma di tiara, racchiude in sè sola le ricchezze d’una gran chiesa; l’altar maggior è d’alabastro, coperto di rosoni, di volute, di rabeschi; la volta ornata di statue; a destra e a sinistra, tombe ed urne di principi: in un angolo la scranna sulla quale siedevano i Re d’Aragona per ricevere la consacrazione. Il coro, che sorge