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l'oceano giallo 145


fuori delle grandi vie della navigazione, dove non si vede nè vela, nè balena, nè gavotta, nè alcione; dai confini del quale tutto fugge, ogni indizio di vita dispare; e se il vento o la tempesta vi gettano qualche volta un bastimento smarrito, pare ai navigatori di esser caduti nelle acque d’un mondo morto.

Ma fortunatamente questi accessi di noia sono come il dolor di gomiti, terribili, ma brevi. Giovò anche a liberarmene il comandante, che quella mattina, a colazione, era in vena di chiacchierare, e pieno di buon umore, benché trasparisse poco dal suo cipiglio di piccolo Ercole dai peli rossi. Per il solito, quello era il suo miglior momento. Esaminati i calcoli astronomici degli ufficiali, puntata la sua carta, computato il cammino fatto e quello da farsi, se nelle ultime ventiquattr’ore il Galileo avea filato bene, e se non c’erano novità spiacevoli a bordo, egli sedeva a tavola stropicciandosi le mani, e teneva viva la conversazione. Ma pure in quei giorni esordiva con qualche invettiva marinaresca contro i camerieri, così, per abitudine, e per dare un avvertimento salutare. A uno che gli faceva delle scuse, diceva: — Va via, impostò! — A un altro minacciava due maschae

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