Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu/37

Da Wikisource.

l'italia a bordo 33

quelle d’una carcere o d’un ministero: non par possibile che ci sia bisogno di tanta complicazione di architettura e di servizio per governare e mandare avanti il barcone. Ma poi, quando uno si comincia a raccapezzare, allora ammira la perfezione a cui è arrivato a poco a poco l’ingegno umano nell’arte di stringere insieme, di sovrapporre, d’incastrare l’un nell’altro tutti quei bugigattoli, d’uffici, di magazzini, di stanze da dormire, di laboratori d’ogni fatta, in ciascuno dei quali si vede, passando, qualcuno che scrive, o cuce, o impasta, o cucina, o lava, o martella, quasi rimpiattato, con appena tanto spazio da rigirarsi, come un grillo nel buco, e che pure sembra a suo agio, come se fosse nato e vissuto sempre là dentro, sospeso tra l’oceano e il cielo. La macchina smisurata che muove tutto è il nucleo, e la poppa e la prua sono come i sobborghi di quella specie di città forte, detta castello centrale; la quale è formata dai dormitori della seconda classe, dai camerini degli ufficiali, dei macchinisti, del medico e dei cuochi, dai forni, dalla cucina, dai bagni, dalla pasticceria, dalla calderina, dai depositi dei viveri, della biancheria, dei fanali, della posta. E questa città del mezzo, percorsa da due lunghe vie laterali, tutta affaccendamento e rumore, e piena d’odor

De Amicis. Sull'Oceano. 3