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vita sociale e sue gerarchie 103

dinali prendevano parte anche ai giuochi di salone, e a tutte quelle esilaranti facezie, non sempre di buon genere, delle quali eran vittime i parassiti e gli sciocchi. In casa Orsini il maggior divertimento era quello d’invitare un prelato di nobile famiglia, monsignor Muti, a zufolare arie musicali, portando un lembo del ferraiuolo alla bocca, e facendo delle due mani una specie d’imbuto. Il suono era qualche cosa tra un sibilo stridente e un ronzio vocale, e tutta la scena era comicissima, perchè, prima che monsignore desse l’aire al suo zufolare, i cardinali e i prelati gli accomodavano il ferraiuolo sulla testa a guisa di cappuccio, e così, tra le risa generali, lacerava gli orecchi degli astanti sui favoriti motivi: Spirto gentil..., Astro d’amor..., Di quella pira. Tutti battevano le mani, e uno della brigata, per completare la baia, girava intorno col piatto a raccogliere le offerte.

Nelle case del patriziato, i cardinali rappresentarono fino agli ultimi tempi, ancora più dei diplomatici, il tradizionale ornamento di quei saloni, dove era una grazia l’essere ammessi, quando non si portasse un titolo, o non si fosse in arte o in letteratura, nella scienza o nello sport, la celebrità, o, per lo meno, la notorietà del giorno. E se i cardinali e i prelati, che comandavano, non erano soverchiamente riguardosi verso i nobili, questi non celavano il loro disprezzo, o canzonavano tutto quell’alto mondo ecclesiastico, che offriva tanta copia di contrasti, e apriva così larga vena di comicità. Ridere non era ribellarsi; e il riso non intaccava l’ortodossia. Quegli orgogliosi signori, discendenti da famiglie papali, e che erano in sostanza dei piccoli sovrani irresponsabili, con corte e cortigiani, gallerie d’arte e archivi di storia, ed esercitavano una decisa influenza in tutta l’azione dello Stato, senza averne la responsabilità, erano inclinati, come i più intellettuali borghesi, all’epigramma. Era un epigramma senza scatti, pungente, ma non oltraggiante, e sempre materiato del buon senso caratteristico dei romani, e di stoicismo arguto; per cui si finiva col ridere tanto dei più stridenti contrasti morali, che offriva il governo ieratico, quanto delle comiche ingenuità dei forestieri; meno spesso dei pregiudizi religiosi, e delle più assurde intolleranze. L’epigramma penetrava nei saloni e nei teatri, e anche nelle sagrestie,