Pagina:De Cesare - Roma e lo Stato del Papa I.djvu/227

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arte e artisti 209

In quello studio, che era scuola libera del solo nudo maschile, e di ciociare vestite, la polizia mandava qualche spione, in veste di amatore delle arti, ma i giovani se ne accorgevano, e lo canzonavano. Fra gli studenti, che in quegli anni frequentarono la scuola di Gigi, ricordo Giulio Monteverde, Antonio Dal Zotto, Cesare Maccari e Giulio Cantalamessa, venuti tutti in fama. Gli artisti dello Stato avevano bisogno, per rimanere a Roma, della carta di permanenza, da rinnovarsi ogni quindici giorni, e avevano l’obbligo di giurare fedeltà al Papa. Si pretese il giuramento anche da un giovane Bacchetti di Forlimpopoli, dopo che le Legazioni non fecero più parte dello Stato: il Bacchetti si rifiutò, e fu espulso.

La società artistica era internazionale. Roma fu sempre il grande studio dell’arte nel mondo. I giovani, pensionati dai propri governi, alloggiavano negli edifizi appartenenti ad essi. Il Dal Zotto, pensionato dell’Austria, venuto a Roma nei primi giorni del 1866, abitò al palazzo Venezia; i napoletani, fino al 1848 alloggiarono alla Farnesina; dopo quell’anno, il governo pagò le pensioni per Roma, ma con l’obbligo ai pensionati di stare a Napoli, o di andare a Firenze. Gli artisti, dimoranti a Roma, senza alcun sussidio di governo o di accademie, non eran pochi; e se molti stentavano la vita, frequentando l’osteria di Zio, od altre anche più economiche, parecchi, o agiati di famiglia, o perchè ritraevano bastevoli guadagni dall’arte, vivevano con decoro, anzi Achille Vertunni, completamente romanizzato, menava vita quasi fastosa, e più tardi aprì in via Margutta un magnifico salone, con mobili di gran valore, e coi suoi migliori quadri esposti, e vi dava indimenticabili ricevimenti. Più tardi il Fortuny fece altrettanto nella sua casa fuori porta del Popolo. Bernardo Celentano visse da principio a dozzina presso la famiglia Arnoldi, e scriveva al fratello Luigi, nel giugno del 1854: «io qui a Roma sto perfettamente di buona salute, in mezzo ai più cari amici, tra i quali Cipolla e Vertunni. Godo di Roma da per tutto. Lavoro incessantemente con gran fatica e piacere, e posso assicurarti che non mi manca nulla, stando in questa degna famiglia Arnoldi». Per il rimanente, trascorreva il suo tempo fra la casa di Antonio Cipolla, già venuto in fama d’insigne architetto, e il caffè Greco,