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ricostituzione del vecchio regime — attentati settarii 27

famoso tribuno. Lo Squaglia frequentava la libreria Bonifazi, posta al canto di San Marcello, dove è ora la bottega di oreficeria del Suscipi. In quella libreria, dove con lo Squaglia si riunivano i più odiati reazionarii, la sera del 29 maggio fu fatta scoppiare una bomba, con indicibile spavento dei frequentatori, che il giorno appresso fecero celebrare un solenne triduo nella vicina chiesa, per lo scampato pericolo. S’iniziò un processo, ma non si venne a capo di nulla; e tutto finì con una medaglia d’argento, col motto Fidelilati, concessa allo Squaglia, a Luigi Borghesi, frequentatore anch’egli del negozio, e lui pure bussolante, e a Filippo Bonifazi. Questi però, vinto dalla paura, non ebbe pace che quando potè cedere la bottega ad un gioielliere francese, chiamato Loulou, per cui si disse:

Vedete come il mondo
Se ne va proprio in giù,
Dov'era Bonifazi
Oggi vi è Loulou.

Lo Squaglia morì al manicomio, si disse per effetto della paura.

Un attentato audacissimo fu quello della mattina del 19 luglio, alle 7, contro il colonnello della gendarmeria Filippo Nardoni. Questi, passando pel vicolo dell’Abate Luigi, per andare a prendere il caffè in una piccola bottega tenuta da Lorenzo Ferrucci, altro sfegatato papalino, fu aggredito da due persone armate di pugnale. Essendo il Nardoni uomo coraggioso, si difese animosamente, sfoderando un’arma nascosta nel bastone. Gli assassini fuggirono, ma uno di essi, certo Pace di Frascati, muratore, fu raggiunto ed arrestato insieme a due complici dallo stesso Nardoni, Fedeli di Macerata e Antonini, già impiegato alle poste. Il Pace fu condannato a morte, ma il Papa gli commutò la pena nell’ergastolo.

Seguivano brevi periodi di calma, che parevano rassicuranti, ma non s’indugiava a tornar daccapo con nuovi attentati. Fu fatta scoppiare una bomba innanzi alla casa di monsignor Tizzani; si tentò di assassinare il Cesari, prefetto dell’archivio comunale, e poi il Mazio, direttore alla zecca pontificia. Ma più iniqua di tutte fu l’opera di sangue, di cui cadde vittima, la sera del 15 giugno 1851, il cancelliere della Consulta, Marco Evangelisti, il quale passando per via di San Venanzio innanzi