Pagina:De Joinville, Galvani - La sesta crociata - 1872.djvu/213

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parte seconda. 149

quand’io fui levato, unqua non ne ricordai pure un motto.

Noi fummo allora messi nella sentina della galea tutti a disteso e stivati, ed argomentavamo molto di noi che non osassero assalirci tutti a un tratto, ma che indi ci volessero poi trarre l’uno appresso l’altro ed ucciderci; e fummo a tale miscapito tutta la notte, istando così strettamente stratati ch’io aveva i miei piedi a dritta del viso di Monsignore il Conte Piero di Bertagna, e così li suoi piedi erano all’indritto del viso mio. Ora avvenne che la dimane noi fummo tratti fuora di quella sentina, e ci inviarono dire gli Almiranti, che noi loro andassimo rinovellare le convenenze che avevamo fatte al Soldano. Quelli ci andarono che poterono andarvi, ma il Conte di Brettagna, e lo Connestabile di Cipri, ed io, che eravamo grievemente malati, dimorammo.

Quelli che andarono parlare agli Almiranti, ciò furono il Conte di Fiandra, il Conte di Soissone, e gli altri cui bastarono le forze, raccontarono le convenzioni della nostra diliveranza. Per le quali gli Almiranti promisero che, sì tosto come fusse loro dilivera Damiata, essi altresì dilivrerebbono il Re e gli altri gran personaggi che erano prigionieri. E disser loro che se il Soldano fusse vissuto, ch’egli avrebbe fatto mozzare le teste al Re e a tutti loro; e che già contro le convenenze fatte e giurate al Re, elli avea fatto ammenare verso Babilonia alquanti de’ nostri grandi Baroni, e fattiveli uccidere; e ch’essi l’aveano tratto a morte,