Pagina:De Marchi - Demetrio Pianelli, 1915.djvu/22

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Caffè, mentre nell’altro lato della piazza, al comparire della prima mascherata colla banda, si rianimava un po’ di rumore.

Seguì un altro bell’istante di silenzio, duro e arcigno da una parte, tedioso e incomodo dall’altra, durante il quale il Pianelli pensò se doveva inghiottire l’orgoglio e commuovere l’amico col racconto di tutta la verità.

E la verità era questa:

Le duemila lire perdute al giuoco col celebre tenore Altamura non erano che il fondo di cassa raccolto per le feste del Circolo. Per una boria di lord Cosmetico il Pianelli aveva pagato in pronti contanti il suo debito d’onore, ma, non avendone di suoi, s’era servito del denaro degli amici. Ora cominciavano i guai, i sospetti, le diffidenze e aveva ragione di dire: — Spiace sempre di fare una cattiva figura....

Ora si trattava non più d’un debito di giuoco, ma di stima, di fiducia, di delicatezza, e a Cesarino bruciava più che se avesse ricevuta una coltellata nella carne.

— Ti pago gl’interessi — provò a soggiungere.

— Non ne ho e quando non ne ho è come spremere l’acqua da un sasso — rispose con una certa furia di uomo seccato il buon Melchisedecco Pardi, detto anche Secco o Pardone.