Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 253 — |
giù per la via del Pesce, su per i Visconti, giù per San Satiro, volta per l’Unione. Il pancione non può correre tanto e io sfido un cervo. Ma è capace d’aver presa una carrozza. Taci, senti: non si è fermata una carrozza davanti la tua porta? Scusa, va a vedere.
Beatrice andò alla finestra. Alla porta non c’era niente.
— Mi rincrescerebbe anche per te, perchè Secco se si monta la testa non ragiona più. Ma la deve pagare, lo stupidone. Oggi gli faccio una scena da far correre le guardie.
— Scusa, Palmira, — provò a dire Beatrice — se però ti trovasse la lettera di Altamura? non ti pare che avrebbe ragione?
— È per questo che son corsa. Ma non voglio scene in istrada, non ne voglio. Non mi lascio imporre, veh! Se non dimanda scusa, faccio fagotto e me ne vado.
— Dove vuoi andare, cara te?
— In nessun sito, si sa — rispose con un gorgheggio di mascherina la moglie del buon Melchisedecco. — Quando mi vede fuori dei gangheri, abbassa subito le arie, diventa un agnello. Bisogna fare così cogli uomini. Non mostrare mai d’aver paura. È perchè noi donne non andiamo d’accordo; ma, se ci mettessimo, non sai che in ventiquattro ore cambiamo la legge del mondo?