Pagina:De Marchi - Demetrio Pianelli, 1915.djvu/450

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La giornata di fin di luglio si avvicinava al suo tramonto. Lunghe e taglienti lame d’oro immobili nell’aria immobile mandavano nel lento spegnersi del crepuscolo un chiarore caldo come un riverbero di rame infocato, mentre dai tetti neri e bruciati esalava la vampa di una gran giornata di sole.

Era arrivato il tempo di andarsene. Sentendo ogni giorno, quasi ogni ora, quasi ogni minuto diminuire le ragioni della vita, nel tedioso ozio forzato che somigliava all’inerte agonia di un condannato a morte, Demetrio anticipava di qualche giorno la sua partenza anche per sottrarsi alle insistenze di Paolino, che gli scriveva continuamente delle cartoline enigmatiche. Strada facendo, avrebbe potuto fermarsi un paio d’ore a San Donato dov’era sepolta la sua povera mamma, per dirle addio, o a rivederci, per attingere un po’ di forza davanti all’erba che la ricopriva. Gli sorrideva anche l’idea di una fermata a Genova al cospetto del mare che non aveva mai veduto, nella speranza di far morire nell’immensità dello spettacolo i suoi piccoli pensieri e i suoi piccoli dolori.

Chi sa se avrebbe potuto vivere lontano dal suo paese, tra gente sconosciuta, in un mestiere ingrato, vedovo (non c’è altra parola), vedovo per sempre di quella donna, che aveva suscitate e sconvolte tutte le for-