Pagina:De Marchi - Il cappello del prete, 1918.djvu/242

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Cecere tornò a ridere e a mostrare i suoi bellissimi denti di bue, mentre si ravvolgeva nel tovagliolo e cominciava la pulitura dei piatti e delle posate che il cameriere gli metteva davanti.

— Se sapeste quante volte vi ho mandato al diavolo per questo vostro processo!

— Chi manda al diavolo un giornalista, lo manda a casa di suo nonno. Il divino poeta ha detto che il diavolo è il padre della menzogna, e noi siamo i figli della figlia.... capite.

— Ebbene, sentiamo, — esclamò il barone che si sentiva in vena di parlare, — quali sono le indicazioni che vi abbisognano?

— Posso dire almeno d’avervi intervistato?

— Non sono il principe di Bismarck.

— Per un cronista oggi voi siete qualche cosa di più, e voi non potete indovinare il piacere che io farò ai miei lettori quando potrò scrivere, per esempio, queste parole: «Abbiamo ieri parlato con sua eccellenza il barone di Santafusca, uno dei più simpatici giovani gentiluomini».

— Giovane, ahimè!...

— E non si è giovani quando si ha la fortuna di accompagnare la bella principessa di Palàndes?

— E stamperete anche questo?

— Adesso no.

— Siete animali.

— Non per nulla un uomo si fa tagliare la barba alla «derby» e si fa morbido il mento.