Pagina:De Marchi - Il cappello del prete, 1918.djvu/27

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anche l’anima mia non vada perduta, — disse il barone, raddolcendo la voce e fingendo una improvvisa compunzione. — Sì, voi sapete che io sono rovinato e che non mi resta più che Santafusca, ultima trave di un naufragio. Se voi non mi aiutate, io dovrei abbruciarmi le cervella....

«U barone» trasse il fazzoletto e se lo passò tre volte sulle pupille con meraviglia grande di prete Cirillo, che non aveva mai veduto piangere nessuno. E ora quell’empio peccatore, quel maledetto bestemmiatore di Dio, quello sciagurato libertino, sull’orlo di un precipizio nefando, pregava lui, povero servo di Dio, di aver pietà dell’anima sua.

Un non so che di tenero e di compassionevole risonò al disotto della fodera metallica di quell’anima avara. Raddolcendo la voce soggiunse: — Io vi salverò l’anima e il corpo, barone di Santafusca, e se potrò collocare la villa con vantaggio, son uomo giusto e mi ricorderò dei vostri bisogni. Ora voi lasciate subito Napoli e io porterò domani al canonico le quindicimila lire. Giovedì, giorno 4, vengo alla Villa e vi porto il resto e do un addio a questa maledetta città, che è diventata il mio inferno. Ho bisogno di alcuni giorni per accomodare le cose mie e spero che Dio mi aiuterà a salvar voi e a salvar me.

— Io penso proprio che Dio benedetto vi abbia mandato sulla mia strada, — disse il ba-