Pagina:De Roberto - Al rombo del cannone, Milano, Treves, 1919.djvu/63

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un condottiero francese a napoli 51

egli continuò a godere da parte della Corte: a Vienna, dove si ritirò ancora una volta, servì la Regina, per desiderio di lei, da consigliere e da informatore. Ma la gratitudine che egli le portò non gl’impedì di giudicarla secondo coscienza. Certo, non è da stupire se il Damas insiste spesso, segnatamente in principio, sulle buone qualità di Maria Carolina; ma poi comincia a distinguere, e la dice provveduta «più d’immaginazione che di carattere, più di bisogno d’agire che d’abitudine di lavorare», ed anche di «troppa diffidenza», di «troppa effervescenza» e di troppo poca «perseveranza». Riconoscendone l’ingegno, le attribuisce il genio degli «intrighi», ed osserva che ha agito nel modo più pregiudizievole alla sua reputazione ed al Regno. «La vanità, l’inconseguenza, la petulanza sconsiderata, l’ambiguità dei pensieri le hanno fatto perdere il Regno di Napoli. Gli stessi inconvenienti, difetti ed indomabili impulsi le fanno ora (nel 1812) perdere il governo della Sicilia.» Mai cotesta donna, «a cui nessuno può negare ciò che si chiama disgraziatamente spirito, ha avuto abbastanza giudizio da governare il suo cervello, le sue azioni e le sue stesse parole. Ha esasperato e doveva esasperare Napoleone; ha esasperato e doveva esasperare gl’Inglesi, e se il cielo le avesse accordato l’impero del mondo e mille anni di vita, lo avrebbe perduto a poco a poco senza che