Pagina:De Roberto - Gli amori.djvu/255

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«Avrei dovuto trarre un sospiro di liberazione, — è vero? — e lo trassi infatti. Però, in fondo alla mia coscienza, ma proprio nel fondo estremo dove non arrivava alcun riflesso della luce superiore, avveniva qualcosa d’imprevisto che metteva in ogni mio pensiero come un lievito di scontento: un’assurdità che mi colmava di stupore. A poco per volta le tenebre si diradarono intorno a quella misteriosa operazione. Io consideravo, da una parte, il mio sentimento per quella donna, il valore inestimabile che avevo attribuito all’amor suo, l’inaudita fortuna della quale m’ero creduto segno, esaltandola continuamente, dubitandone perfino talvolta. Dall’altra parte stava il fatto che egli non aveva cercato di rubarmela, quantunque facesse il mestiere del seduttore, quantunque non mi dovesse nulla, quantunque l’impresa non gli dovesse sembrar disperata. Perchè, dunque? Evidentemente, perchè quell’impresa non lo tentava, perchè quella donna non era oggetto del suo desiderio. Ora l’idea che un conoscitore come lui non apprezzasse la creatura in cui io avevo riposto tutto il mio vanto, tutto il mio orgoglio, il cui possesso mi aveva fatto credere oggetto dell’invidia del mondo — questa era l’origine del mio scontento. Avrei dovuto esultare vedendo allontanarsi un pericolo, e invece mi sentivo umiliato scoprendo che al mio concetto intorno a lei non partecipava chi gli avrebbe conferito autorità. Se egli l’avesse desiderata avrei sofferto le pene dell’inferno; perchè la sdegnava ella quasi perdeva ai miei occhi una parte del suo valore, io cominciavo a dubitare d’averla posta più in alto che non meritasse e d’essermi pertanto abbassato un po’ troppo...

«In quel momento non cessai certo d’amarla, ma fu questo il primo sintomo d’una lenta evoluzione che s’operò nel mio spirito e che mi tolse finalmente quella donna dal cuore!...»