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Pagina:De Roberto - La Duchessa di Leyra (di Giovanni Verga), 1922.djvu/13

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la duchess di leyra 413

cessità di improvvisarsi agricoltore, lontananza dai maggiori centri della vita intellettuale, stanchezza prodotta dall’età, la più potente di tutte fu la sfiducia in sè stesso.

Dai racconti storici fanciulleschi e giovanili come Amore e Patria, I Carbonari della montagna, e Sulle lagune, alle confessioni eloquenti se pure un poco ammanierate e non scevre di enfasi retorica di Una peccatrice e della Capinera, alle storie appassionate e sempre più attentamente osservate nella vita di Eva, di Tigre reale e di Eros, Camera di Giovanni Verga (Fot. Scolia).egli aveva compiuta una lenta e dura ascensione. Giunto sulle vette dei Malavoglia e di Mastro don Gesualdo, bisognava mantenersi nelle solenni e pure altitudini faticosamente guadagnate, non discendere l’altro versante. Questo timore, questo terrore gli paralizzò la mano.

E invano egli sentì fervidamente lodare questo primo capitolo; invano gli fa detto e assicurato che le sue facoltà di osservatore e d’espressore vi apparivano integre: ne fu scosso per poco, parve riacquistare nel primo momento la fede perduta e promise anche di rimettersi al lavoro; ma poi tornò allo scoramento di prima. Rassegnatosi, col tempo, con la vecchiezza, all’inerzia ed al silenzio, una sola cosa gli dava ancora un senso di rimorso per non essersi sforzato in tempo a proseguire la Duchessa di Leyra ed a compiere il ciclo del Vinti: l’osservazione di quei critici secondo i quali il suo metodo e il suo stile, adatti alla rappresentazione del piccolo mondo delle campagne e delle province, si sarebbero dimostrati insufficienti a ritrarre la grande vita vissuta nelle grandi città dalle classi più elevate ed evolute.

Un’osservazione dello stesso genere era stata mossa in Francia contro Guido di Maupassant.

Con discrezione di filosofo Ippolito Taine gli aveva scritto:

«Voi dipingete contadini, borghesucci, operai, studenti e cortigiane. Un giorno, senza dubbio, dipingerete la società colta, la grande borghesia, ingegneri, medici, professori...». Questo, precisamente, si proponeva di fare il Verga nella Duchessa di Leyra, nell’Onorevole Scipioni, nell’Uomo di lusso. E prima ancora che i critici scoprissero la diversità e la difficoltà dei nuovi soggetti, egli stesso l’aveva definita e calcolata.

A misura che la sfera dell’azione umana si allarga, il congegno delle passioni va complicandosi: i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l’educazione ed anche tutto quello che ci può essere d’artificiale nella civiltà. Persino il linguaggio tende ad individualizzarsi, ad arricchirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi sentimenti, di tutti gli artifizi della parola onde dar rilievo all’idea, in un’epoca che impone come regola di buon gusto un eguale formalismo per mascherare un’uniformità di sentimenti e di idee. Perchè la riproduzione artistica di codesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di questa analisi, esser sinceri per dimostrare la verità, giacchè la forma è così inerente al soggetto quanto ogni parte del soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell’argomento generale.

Più fortunato del Verga — in questo come nel resto — il Maupassant, che conosceva l’opera del grande La maschera di Giovanni Vergasuo confratello italiano e l’ammirava tanto da proporsi di tradurne le novelle rusticane, potè dipingere alcuni di questi quadri grandiosi. Giovanni Verga morì con lo struggimento di non aver potuto compiere quello da tanto tempo iniziato, al quale si era accinto con tanta consapevolezza, armato delle stesse forze che il Taine aveva trovate nel Maupassant: «pienezza naturale della concezione, facoltà di vedere cumulativamente, abbondanza e ricchezza d’impressioni, ricordi, idee psicologiche, mezze visioni fisiche ammassate in blocco, come fondamenta e punti d’appoggio, sotto ciascuna frase e ad ogni parola».

F. DE ROBERTO.