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un sogno 255

ta, dove qualcuno, un segretario, un addetto, avrebbe saputo dire chi ero. Passando dinanzi ad un negozio di abiti fatti, vi entrai per comprare un soprabito. Comprai anche una camicia, che indossai, col pretesto di vedere se mi stava bene, perchè quella portata in viaggio era tutta sgualcita; mi annodai al collo un’altra cravatta, di colore, acquistata anch’essa lì per lì. Quando tornai all’albergo con questo nuovo aspetto, ella mi disse in tono di amabile rimprovero:

«— Ah! mi avete dunque ingannata?

«— Come mai?

«— Fingendo di partire improvvisamente, senza bagaglio! Avevate invece spedito le vostre valigie, se ora vi siete cambiato!

«— Ma niente affatto! Queste sono mentite spoglie: osservate!... — ed apersi il soprabito perchè vedesse l’abito nero.

«Rise ancora, mentre le spiegavo come avevo fatto e le chiedevo il permesso di tenere il soprabito in sala da pranzo per non espormi alla curiosità dei commensali con quel ridicolo «smoking» a colazione. Ella era riposata, fresca, smagliante, più vaga, più deliziosa che mai. La colazione fu squisita; dopo uscimmo in carrozza; l’accom-