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storia d’un’anima 119

il proprio dolore, certa d’essersi impegnata dinanzi a Dio, sino alla morte, e fiduciosa di far presto o tardi riconoscere anche a lui la santità del dovere.

Da quale disinganno era stata amareggiata scoprendo l’inutilità della propria dedizione? Senza dubbio l’inganno non le era stato subito palese; finchè il principe aveva continuato ad amarla ella aveva sperato: credendolo sentendolo suo sposo con l’anima, nella sincerità della coscienza, ella aveva lungamente aspettato piena di speranza. La sfiducia morale aveva preceduto o seguìto la sentimentale delusione? Forse s’erano prodotte ad un tempo.

Il libro delle memorie mostrava, alla scrittura, all’inchiostro, d’essere stato ancora una volta interrotto. E lo sforzo di negar credito all’ingrata realtà era evidente nelle nuove confessioni. Ella scriveva:

«Bisogna credere. Bisogna sperare... Il più delle volte noi non ci conosciamo, dobbiamo essere rivelati a noi stessi...»

Quest’idea era senza dubbio riferibile all’uomo che le stava vicino, alla sua ostinata insistenza nell’opera di distruzione, alla speranza ancora viva di piegarlo, di farlo ricredere; poichè ella scriveva inorridita:

«Ancora l’odio, il sangue, le fiamme! No, mai: non sarà mai questa la via!... Come un’anima amante può parlare così? Egli dice che l’amore