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i mali che travagliavano il principe, la speranza e quasi il dovere di giovargli avevano dovuto determinarla ad assecondarne l’affetto.

«Se fosse vero! Se avessi questa forza!» Manifestamente il principe le aveva detto che l’amore di lei era il suo conforto, la sua gioia, la sua salute; fosse egli sincero, o fingesse calcolando sull’effetto di quelle parole, era certo che l’effetto non poteva mancare in un’anima amante. Liberi entrambi, niente avrebbe vietato che s’unissero legittimamente, se il ribelle non avesse disconosciuto e odiato le leggi, anzi diretto ogni suo sforzo a distruggerle. Della sua conversione avrebbe potuto darle la massima prova, sposandola; ma probabilmente non era sincero dicendosi convertito. Con più verisimiglianza nessuna allusione diretta avevano essi dovuto fare al loro avvenire; nè il principe aveva esplicitamente promesso di convertirsi al matrimonio, nè la contessa gli aveva rigorosamente imposto di mettersi in regola col mondo: durante un certo tempo entrambi avevano dovuto amarsi castamente, ella sperando di placare e redimere il negatore, egli forse sorridendo di questa sua speranza: un giorno la complicità delle circostanze, la dolcezza dell’ora, la debolezza della donna, la prepotenza dell’uomo avevano mutato repentinamente la natura dei loro rapporti. Ella cui la purezza delle intenzioni non doveva bastare se n’era intimamente doluta: ma non aveva espresso