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storia d’un’anima 133

cherai in un altro amore; non dubitare; qualcuno te l’offrirà....» Queste parole di Zakunine che l’avevano umiliata ed offesa quando erano soltanto una scettica previsione, sarebbero state confermate dal fatto, avrebbero espresso una realtà se ella avesse ceduto all’amore del Vérod; allora lo scettico, il negatore, il bestemmiatore avrebbe avuto ragione: la fede sostenuta contro di lui dalla credente si sarebbe ridotta, come egli voleva ridurla, a una menzogna, a un’ipocrisia.

Il Ferpierre ripeteva a sè stesso che il suicidio non era soltanto, in tali condizioni, possibile, ma quasi necessario. Già per un’altra ragione egli ne riconosceva la verisimiglianza in una natura, come quella, malinconica e contemplativa; per un’anima abituata a guardare assiduamente sè stessa, a considerare senza paura, anzi con una specie di compiacimento i problemi della vita. E al lume di queste deduzioni egli trovava un nuovo senso nelle ultime note del giornale, dove la mattina il giudice di pace aveva cercato, senza trovarla, la confessione della morte volontaria. La disgraziata non confessava d’essersi uccisa, ma il significato delle sue ultime parole appariva ora più chiaro al Ferpierre:

«Bisogna che la fede sia molto salda e cerchi e trovi un modo d’affermarsi contro il dubbio trionfante....

«La massima tristezza è di dover rinunziare alla speranza.