Pagina:De Roberto - Spasimo.djvu/169

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duello 157

gli stesse dinanzi non il vendicatore ma un accusato. E l’attitudine di Roberto Vérod era quella d’un colpevole: a capo chino, con una mano sul petto, egli pareva piegarsi sotto il peso del rimprovero altrui, del suo proprio rimorso.

— Non dite nulla? Non riconoscete l’esattezza dei miei ragionamenti?

— No! — proruppe il giovane, risollevandosi a un tratto, e in atteggiamento quasi di sfida. — Non è così! Non può essere così! Non lo posso credere, non lo crederò mai!... Questi pensieri furono i suoi, è vero; ma sopra i pensieri di morte, più alto, più potente doveva essere e fu il pensiero della vita e dell’amore. Anche a me non sarebbe nulla costato darmi la morte, prima di conoscerla. Io avevo ragione di odiare l’esistenza....

— La stessa ragione che ve la fece odiare a vent’anni?

Il Ferpierre disse queste parole quasi per un impeto incosciente. Quantunque alla severità del suo ufficio non convenisse richiamare i rapporti anticamente passati tra lui e l’accusatore, pure l’istintiva curiosità di sapere se il giovane si ricordava ancora di lui lo pungeva fino dal giorno innanzi.

— La stessa, — rispose il Vérod guardandolo negli occhi; — ma più urgente, più sconsolata di quella che voi rammentate. Voi mi conoscete, è vero? Anch’io subito vi riconobbi. Voi sapete che