Pagina:De Roberto - Spasimo.djvu/183

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l’inchiesta 171

per badare che non mancassero di nulla; se qualcuna ammalavasi non aveva più un momento di pace. Quando uno dei suoi cani morì, con la testa adagiata sui ginocchi di lui, guardandolo con i miti occhi appannati; quando egli vide irrigidite le elastiche forme, quando sentì freddo e inerte il corpo prima vibrante sotto le carezze, quando ebbe compreso il mistero della morte, il pianto, un muto e lungo pianto spetrò i suoi occhi. Per le femmine non era stata mai tanto tenero come per i maschi; i colpi di scudiscio, nei momenti d’ira, cadevano soltanto su quelle. Egli si ricredette il giorno che una di esse, dato con stento alla luce mezza dozzina di piccoli, si ammalò ma non sofferse che i figli le fossero tolti, e tanto lamentosamente guaì che glie li restituirono, e spirò con la prole attaccata al petto febbricitante.

Dalla compagnia delle donne aveva rifuggito come per istinto, fino da piccolo. A vent’anni, morta sua madre, rimasto padrone d’un’immensa fortuna, era uscito ad un tratto, con un voltafaccia repentino, dalla vita solitaria delle campagne dove alternava i violenti esercizii con le macerazioni dello studio, per darsi freddamente e quasi studiatamente agli eleganti e malsani piaceri delle grandi città. Sciupò molto denaro e molta forza nervosa, la sua costituzione già squilibrata deperì. L’amore, il primo amor d’anima, gli fu ispirato dalla figlia del principe Arkof. Con un morale