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altro armadio, il lavabo ed i bauli tenevano tutto il luogo disponibile. Non vi trovò nessuna carta. Rientrato nella camera, la traversò dirigendosi alla sala: qui le ricerche furono ancora più brevi ed inutili; perchè, oltre i divani e le poltrone, solo una tavola piena di minuti ninnoli e il pianoforte sul quale stava spiegato un fascicolo del Pessard la mobigliavano. Già il commissario tornava sui proprii passi, quando una voce di pianto ed esclamazioni d’ambascia lo fecero rivoltare: i gendarmi, obbedienti agli ordini ricevuti, vietavano l’entrata ad una donna vestita di scuro che portava sul capo il velo nero delle popolane lombarde.

— Ah! Signore! Ah! Signore!... — esclamava costei, a mani giunte, col magro viso solcato da lacrime ardenti. — Vederla!... Ancora una volta vederla!... La padrona mia... la mia buona padrona!... Ah, Signore, vederla!...

Era la Giulia che tornava in quel punto: piccola e magra, di dubbia età, ella appariva disfatta dall’ambascia.

— Lasciate che passi, — ordinò il magistrato cui la baronessa spiegò che, servendo la morta da lunghissimi anni, questa donna aveva goduto di tutta la sua confidenza.

E come, entrata barcollante e lacrimosa, a mani giunte, ella si avanzò verso la salma, il brivido nervoso riprese a scuotere la persona del principe,