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248 spasimo

il suo braccio si distese ancora una volta, la porta gemè sui cardini. Crebbe il suo tremore. Nella cappella egli la vide dinanzi a sè, prona, a capo chino, a mani giunte, rivolta all’altare, vestita del color della fiamma; egli cadde in ginocchio rompendo in pianto. Nel pianto udì la voce distintamente dire:

«Perdona....»

Il domani fu chiamato dal giudice. Era la prima volta che egli si ritrovava dinanzi al magistrato dopo il giorno che questi, trionfando delle sue argomentazioni, aveva detto di credere fermamente al suicidio. La confusione del giovane era estrema, non sapendo che cosa potevano ancora volere da lui.

— Bisognava innanzi tutto, — gli disse il Ferpierre, — che io riconoscessi il mio torto e la vostra ragione. È stato provvidenziale che voi abbiate insistito nell’accusa a dispetto dell’evidenza; perchè, senza la vostra insistenza, senza la fiducia dalla quale vi vidi animato, io avrei probabilmente tralasciato quelle ulteriori ricerche che mi hanno condotto alla scoperta della verità. Ne avrete forse avuto notizia, a quest’ora; ma io voglio confermarvi che la vostra povera amica fu veramente assassinata. La Natzichev ha confessato il suo delitto; il principe, che aveva taciuto sperando di poterla salvare, ha confermato la confessione di lei.