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spasimo 269

ganno, «che la perfezione è fuor dell’umano; che gli uomini possono pensarla e cercarla, ma non raggiungerla mai. Questa certezza mi avrebbe impedito di esaltare oltre ogni misura quell’anima; questa persuasione deve ora temperare la mia sfiducia e impedirmi d’avvilirla oltre misura.»

Perchè, infatti, mutata la disposizione del suo spirito, egli accusava la memoria di lei non soltanto di debolezza, ma di menzogna e quasi d’indegnità. Prima d’uccidersi ella gli aveva pur detto che lo amava; ed era evidente che gli aveva mentito. Chi assicurava che non avesse mentito altre volte?... Come tutti gli acri umori latenti in un sangue corrotto si ridestano alla più lieve ferita e l’esacerbano e l’incancreniscono, così il disinganno era in lui alimentato ed accresciuto da una moltitudine di pensieri rodenti, dei quali non aveva prima avuto coscienza. Egli ora quasi si sdegnava e si scherniva per aver fatto un ideale di perfezione d’una donna vissuta fuor della legge.

Non era vissuta fuor della legge? Il suo legame col principe non era indegno? Che valor dare all’impegno che ella sosteneva d’aver preso secretamente con sè stessa? Si poteva credere che fosse stata sincera nel prenderlo, o non aveva tentato con quell’asserzione di riscattarsi agli occhi altrui ed ai proprii dopo aver misurato la gravezza della sua colpa? Si poteva credere che ella si fosse data a quell’uomo per esercitare il gratuito ufficio