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286 spasimo

Non si deve mentire, non si può fingere. L’amo: perchè questo amore mi è vietato, io muoio.» Allora risi, la schernii: «Chi vuol morire non lo dice!... La parte è tuttavia bene rappresentata!...» Vedo ancora lo sguardo suo stupito. «Non mi credete? Non credete che ho già preso commiato dalla sola persona che mi piangerà sinceramente?...» Le dissi: «Da lui?...» Ella aveva invece scritto a suor Anna. Ed al mio sospetto, al tono d’ironia col quale lo espressi, non si sdegnò; mi corresse soltanto: «Da suor Anna.» Io soggiunsi, sempre irridendo: «E la salute dell’anima?» A queste parole si nascose il viso tra le mani. Di repente presi le sue mani, tentai d’attirarla al mio cuore. «No, non morrai; tu vivrai per me, con me...» Si levò di scatto, ritraendosi: «Non mi toccate!» Io sentii l’immenso amore cozzare contro un odio implacabile. «Bene! Vi faccio orrore,» le dissi. «E lo amate! E, se pur vorreste, non potete uccidervi perchè avete paura del giudizio del vostro Dio. Voglio io farvi uscire da questa pena!...» E, prima ancora che ella avesse tempo di considerare ciò che facevo, le tolsi l’arma nascosta dietro i suoi libri. «Così non vi ucciderete, non affronterete l’ira del Dio: e potrete anche correre alle nuove carezze.» Da questo momento io non la riconobbi più. Si guardò intorno come smarrita, come perduta, come incalzata da una torma vorace ed ululante; poi mi guardò. I suoi occhi erano