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spasimo 287

illuminati da un riso di gioia, da un sorriso di scherno. «Ah, voi credete?... Voi proprio credete che io volessi morire?... Come lo avete creduto?... Portate via l’arma! Non la morte, ma la vita e la gioia mi aspettano... Andate, lasciatemi: egli ora verrà!...» Anch’io mi guardai intorno, sgomento; la mia mano armata tremava. E come nello sguardo mio era una domanda, ella la comprese: «Egli verrà: sono sua!...» La vampa mi salì più gagliarda agli occhi e alla fronte. «Taci!» le ingiunsi. — «No, non voglio tacere; non posso!... Io l’amo, sono sua!» — «Taci!» le ingiunsi anche una volta. — «No, non voglio tacere!... L’amo, e ti odio e ti disprezzo. Tu m’hai fatto tanto male che avevo il diritto di prendere finalmente la mia rivincita! Nessuno può condannarmi!...» — «Taci!» ingiunsi la terza volta. — «No, non posso tacere! Mi condannino pure: che importa? Tutto l’essere mio ha bisogno di espandere la gioia della quale è finalmente saturato. Io voglio gridarla a tutti, voglio a tutti mostrare la felicità che inonda l’anima mia!...» — «Sei folle!» le gridai. — «Sì, dacchè sono sua!...» No, ciò non era possibile; se fosse stato vero, se avessi dovuto crederlo, sarei impazzito io stesso. «Non è vero! Non ti credo!» le dissi. Ella rispose, attonita, ilare: «Non credi? Come farti credere?... Ascolta, se non fosse vero, avrei voluto morire? Tu mi hai trovata con l’arma dinanzi,