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ho pure mandato una lettera d’estremo saluto; ero sul punto di scrivere il mio testamento; poi avrei scritto a lui. Credi che volessi, che potessi lasciarlo così? Ma senza il rimorso della colpa avrei pensato alla morte? Se non fossi caduta avrei continuato a vivere come ho vissuto finora! Ho voluto morire credendo d’aver peccato; ora non più, non più, non più!...» — «Tu hai fatto questa cosa?» — «L’ho fatta e tornerò a rifarla. L’amo, è mio, per sempre; vuoi sapere da quando? Vuoi saper come?...» — «Taci! Non mi provocare!» — «No, non ti provoco; che cosa m’importa di te? Chi sei tu? Che fai qui? Chi ti ha dato il diritto d’entrare qui? Lévati, lasciami: m’aspetta, ti dico... Vuoi farmi paura?... Ah! Ah!» L’occhio mio doveva essere spaventoso; ed ella rideva! ed ella insisteva: «Non ti temo! Che puoi farmi?» Io proruppi: «Ti uccido!» Ella aperse le braccia, alzò la testa, protese il seno: «Uccidimi; sarò sua fino sotterra.» — «Taci, o ti uccido!...» — «Fino sotterra! Non c’è un solo pensiero della mia mente, non un palpito del mio cuore, non un moto dell’anima mia, non una fibra della mia carne che non sia sua...» Levai l’arma. Il suo sguardo sfolgorava, la sua voce cantava: «Nella vita, oltre la morte, sola di lui...» Il colpo partì....

Roberto Vérod, che alla narrazione del dramma aveva tremato di dolore, d’orrore, di pietà, di ri-