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38 spasimo

Egli era venuto ad istruire un processo, ed assisteva frattanto ad un dramma. Lo spettacolo delle passioni gli era abituale, ma il caso lo metteva ora di fronte a un’anima cui lo legavano i ricordi della giovinezza improvvisamente destati. Chi gli stava dinanzi non era soltanto l’antico compagno col quale aveva altra volta discusso, ma anche uno del più chiari ingegni del suo tempo. La natura di quell’ingegno non gli aveva ispirato simpatia; ma, se pure egli non avesse ora scoperto che l’uomo somigliava poco allo scrittore, la stessa rivalità intellettuale lo disturbava, lo toglieva all’ordinaria indifferenza, alla necessaria serenità. E la stessa vista di quel dolore lo commoveva, mentre egli aveva bisogno di tutta la lucidezza del proprio spirito per accertare l’accusa.

Se il giovane gemeva al dubbio d’essere stato egli medesimo causa involontaria del suicidio della contessa, bisognava credere che questo dubbio non solamente non fosse inverisimile, ma che anzi lo addolorasse come un rimorso. Nonostante, il giudice non voleva attribuirgli ancora troppo valore. Mancando le prove materiali, non si poteva fare assegnamento se non sopra mere induzioni: ora tra l’affermazione del Vérod, che la contessa non aveva potuto darsi la morte mentre la luce d’una nuova affezione rischiarava la tenebrosa sua vita, e il sospetto contrario, che la stessa impossibilità di obbedire a questo sentimento le avesse