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i ricordi di roberto vérod 63

Casa di salute, egli le era passato dinanzi, più da presso; e quantunque il nuovo incontro fosse rapido come il primo, pure egli aveva notato che l’estenuata bellezza di lei era a un tratto tutta rianimata e lucente. E anche una volta l’aveva guardata negli occhi. Che diceva lo sguardo?...

Ora le ombre sorgevano più dense dalla conca del lago. Le nubi già d’oro erano grige, e solo per qualche pennellata cuprea e violacea la luce attestava di non essere morta interamente. Un riflesso di quelle colorazioni dava alle acque stagnanti l’iridescenza delle lamine metalliche. Le digradanti coste dei monti savoiardi parevano cadere a picco sul lago e le cime staccavansi nere sul chiaro fondo del cielo, come un intaglio. Egli riprese ad andare, anelante.

L’appressarsi della notte lo sgominava. Che avrebbe fatto, nella notte? Dovunque volgesse lo sguardo, ora vedeva almeno qualcosa che gli parlava di lei. Egli la rivedeva come l’aveva tante volte veduta, tutta vestita dell’ultima luce, contemplare immobile il muto spettacolo del tramonto; egli tratteneva il respiro ed il passo, come un tempo dinanzi alla figura vivente, pauroso di vederla sparire, di vederla dileguare, di perderla. Ed era sparita, si era dileguata, egli l’aveva perduta! Quante volte questo sentimento di paura aveva stretto il suo cuore! Era ella fatta per la vita terrena? Quante volte l’aveva udita