compagno, perchè non gli si era dato a
conoscere, come mai non aveva saputo persuaderlo della propria
sincerità? Non solo per discrezione egli non aveva rammentato al giudice
i loro antichi rapporti, ma per paura altresì; giacchè sapeva diverso
dal suo, e rigido, e severo l’animo di lui. Ed aveva costui visto più
lucidamente? Egli stesso si era ingannato? Aveva ella voluto morire?...
Tornava allora con la mente al passato, all’angoscioso stupore che lo
aveva occupato nel discoprire il male secreto dal quale quella povera
anima era piegata. Nell’atto che salvava altrui ella stessa era perduta.
Le sue parole d’un giorno gli tornavano alla memoria: un giorno, alla
notizia che un disperato s’era tolta la vita, alla condanna che i più
facevano pesare sopra il suicida, ella aveva espresso un sentimento del
quale i credenti non sono capaci: non era vero, ella diceva, che il
rinunziare all’esistenza portasse una dannazione implacabile, che la
fede condannasse in ogni caso la volontaria morte. Come d’ogni altra
azione umana doveva la coscienza liberamente valutare i motivi di questa
ed accettare le conseguenze del proprio deliberato; ma se l’inganno, la
paura, la viltà meritavano biasimo e pena, per altre ragioni non si
doveva disperare d’un più mite giudizio. Perchè queste idee fossero da
lei concepite ed espresse non bisognava che ella stessa si trovasse
ridotta a tale da pensare alla morte? E di che pietà il cuore di lui era
stato invaso nel