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{{smaller|in azione questa degenerazione del carattere italiano, e da ciò vedete la grande importanza del Don Abbondio, il quale non è ridicolo perché prete, ma perché con la sua pochezza d’animo, col suo latinorum, e con la pieghevolezza della schiena, rappresenta in grado eminente l’altra forma di comico non ancor rappresentata, il comico della volontà, la paura contro la forza.
E vi dico che questo è un carattere comune a tutto quel mondo intermedio del Manzoni, e vedete che a Lecco sottosopra tutti quanti erano come Don Abbondio; e voi vi rammentate il Dottor Azzeccagarbugli, che cacciò via Renzo quando capiva che si trattava di Don Rodrigo, ed il Console che soggiace alle intimazioni de’ bravi di questo tirannello, e ci avete perfino un oste. Sapete che quando Renzo e Gervasio stavano in quell’osteria a preparar la sorpresa a Don Abbondio, Griso ed altri bravi erano di fuori, aspettando il momento per far la sorpresa a Lucia e ad Agnese.
Tutti meditavano una sorpresa. Renzo vede i bravi e dimanda all’oste: «Chi sono que’ forestieri?» E l’oste (che già li conosceva) risponde che non li conosceva, e che la prima regola del suo mestiere era di non domandare il fatto degli altri; e che si starebbe freschi con anta gente che andava e veniva, che l’osteria sembrava un porto di mare.
Il Griso alla sua volta si avvicina all’oste per sapere chi erano que’ galantuomini arrivati; e l’oste: «Buona gente qui del paese»; ed insistendo il Griso, dice i nomi di Renzo, Gervasio, e Tonio. Il Manzoni dopo ciò aggiunge che «osservando al diverso modo che teneva costui nel sodisfare le domande, era un uomo così fatto che in tutti i suoi discorsi, faceva professione d’esser molto amico de’ galantuomini in generale; ma in atto pratico, usava molto maggior compiacenza con quelli che avessero riputazione o sembianza di birboni. Che carattere singolare! eh!» E qui notando quest’ultima ironia del Manzoni, possiamo dire che la situazione del comico rappresentato da Don Abbondio è comune a tutti i personaggi di quel gruppo intermedio.
Vediamo ora come questa situazione si presenta. Avete vista la magnifica messa in iscena di Don Abbondio il quale tornava dalla sua passeggiata, dicendo tranquillamente il suo ufficio, e tra un salmo e l’altro, chiudendo il breviario, e mettendo per segno l’indice della mano destra, che proseguiva il cammino, buttando da un lato i ciottoli che facevano inciampo sul sentiero. Volete ora vedere in due parole venirvi innanzi tutto ciò che v’ha di comico in Don Abbondio?
Ma bisogna prima fare la seguente osservazione. Chi ha la forza ha sempre ragione. A questo proposito debbo dirvi ch’io non ho potuto leggere senza ribrezzo i proverbii del Giusti; basta leggerli per vedere la degenerazione del popolo di Firenze. In essi non s’inculca altro che la pazienza, il chinare il capo alla forza prepotente; in quei proverbii