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xxiv. filosofia di leopardi 201

di Dio, che bisogna accettare con rassegnazione, perché al prosuntuoso che vuol ficcarci l’occhio dentro, Dio dice: — Chi è costui che oscura il consiglio con ragionamenti senza scienza? — Il libro di Giobbe, i Salmi, i Proverbii, i Treni esprimono con grande energia questo doppio sentimento, la cui Musa eloquente e pensosa ispirava Agostino e Pascal.

Fin qui Leopardi s’incontra con la Bibbia, quantunque sia in lui assai poco di biblico e molto di pagano e di classico, e quando va in cerca di compagni, cita più volentieri Omero e Pindaro, che Davide e Giobbe. Ma dove la Bibbia e tutte le teologie risolvono le contraddizioni nella seconda vita, sì che la tragedia si volti in una divina commedia, Leopardi, che vuol stare in su l’esperienza, a una seconda vita non crede, rimane in tutte le ansietà e i dolori della tragedia umana.

Posto che lo scopo della vita sia la felicità, come anche i sensisti ammettevano, e a lui non doveva essere ignoto Elvezio, e posto che nel fatto la felicità non può essere raggiunta a confessione di tutti, viene che la vita non ha scopo. E poi che la vita è moto o azione, «vivre est sentir, aimer, espérer», viene che tutte le nostre azioni non hanno scopo, e sono non altro che ozio, com’egli dice a Pepoli, sono vanità e nulla.

Questo sentimento della vanità universale è pure biblico, è il detto di Salomone, è il «pulvis et umbra». Ma dove nella Bibbia e ne’ Padri l’eterno sparire ha dirimpetto a sé un eterno apparire in Dio, solo realtà e verità, in Leopardi la conclusione di questa infinita vanità delle cose, e sola verità e sola realtà, è la morte. Il fine naturale dell’essere è il morire. La natura partorisce e nutre per distruggere. Adunque la sola cosa vera, il solo scopo dell’essere è la morte. Tutto l’altro è falsa apparenza o illusione, è vanità. Il sentimento di questa vanità è la noia, e perciò nella vita non ci è altro di reale che la noia e il dolore: «Amaro e noia la vita». La verità della vita è il «patire»; è l’infelicità.

Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
De’ celesti si posa.