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è uccisa quasi nel tempo stesso ch’è nata, per la serietà delle cose che dice in contrario, ed è di fattura così grossolana che non la può dare a intendere neppure a quel melenso amico che l’ode. Il quale, destituito di ogni personalità, e piuttosto automato o pappagallo che uomo, sta lì unicamente perché Leopardi si sfoghi, e dica tutto quello che gli sta nel cuore.

Ma se l’ironia è insipida e riesce una freddura, il dialogo, posto pure che sia in sostanza un soliloquio, è una prosa piena di sentimento. Leopardi s’è dimenticato di quel suo tipo astratto e rigido di prosa intellettuale, ove non debbe entrare immaginazione, né sentimento, e si lascia dietro ogni imitazione antica e classica. Ci si sente la prosa de’ suoi diciotto anni, quando scriveva a Giordani, un ritorno di gioventù. Il cuore, lungamente cruciato e compresso, trabocca. Gli altri dialoghi sentono più o meno di solitudine, di attriti astratti, non sperimentati nella comunanza umana. Ora quei filosofi del progresso e de’ lumi ch’egli erasi sforzato di berteggiare socraticamente, gli stanno lì in presenza, e berteggiano lui a loro volta. A sentire questi felici mortali, Leopardi aveva linguaggio di malato, e giudicava il mondo col suo umor nero, e la sua salvatichezza, e la sua nimicizia degli uomini era dispetto di vanità offesa, e non intendeva il secolo, e da’ suoi libri veniva molto male. Leopardi piglia un tuono ironico, ma il cuore è pieno, e prorompe fin dal principio. Faccia livida e labbra convulse non possono ridere. E alza subito il tuono sdegnoso, altiero, sprezzante. Diresti che, già sentendo la morte, si alzi egli medesimo il piedistallo e scriva il suo epitaffio. Il Tristano ha la solennità di un testamento.

Qui la prosa ha calore e pienezza e rigoglio, e corre svelta e libera, con andatura quasi moderna. Ci si sente il fiato del secolo, un ambiente vivo. Il frizzo è amaro, il sarcasmo è pungente, l’ira è eloquente; tutto viene da passione vera. L’ultima pagina sembra una variazione dell’ultima strofa in Amore e morte, una melodia che si continua.

I dialoghi e le altre prose di Giacomo Leopardi sono inferiori alle sue poesie, e valgono meno per sé stesse che a illustrar quelle. Nondimeno vi si scorge un ingegno superiore, e una for-