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x. 1818 - le due canzoni | 75 |
Giordani stette in Recanati «non più di cinque giorni». Nei cari colloqui dové spiegargli quel tipo di perfetto scrittore italiano, di cui più volte gli aveva ragionato per lettera. Egli lo voleva nobile e agiato, sendo persuaso che l’Italia non si poteva redimere senza il concorso delle alte classi e intelligenti, sulle quali doveva poter molto la parola infiammata di uno scrittore geniale. A lui pareva di averlo trovato nel suo Giacomo, e molto gli dové parlare d’Italia e dei suoi disinganni e delle nuove speranze. Quel linguaggio non doveva parere insolito a un giovane impressionabile e capace di entusiasmo, e che già amava l’Italia di un amore letterario.
Non voglio dare un peso esagerato alle parole del Giordani. Certo è che quel giovane tutto casa e biblioteca, che conosce l’Italia nei libri, estraneo ancora al mondo, e che non aveva ricevute altre opinioni se non di padre e madre, si sentiva già da un pezzo tirare in nuovi orizzonti.
A quel tempo l’Italia aveva già quella certa aria inquieta e audace, che annunzia le rivoluzioni. La Carboneria s’era infiltrata nei più bassi strati, uomini illustri e potenti le erano affigliati, veniva su la nuova generazione, Santarosa, e Rossetti, e Berchet, Mazzini e Garibaldi.
Questa Italia non era penetrata in Recanati. Giacomo doveva ignorare persino cosa fosse un carbonaro; appena è se qualche sentore poté averne da Pietro Giordani. Conosceva l’Italia letteraria e purista, Monti, Giordani, Arici, Perticari, e persino padre Cesari.
L’influenza del Giordani fu principalmente letteraria. A questo tempo Giacomo avea dovuto già rendersi familiari, non pure i greci e i latini, ma i nostri trecentisti e cinquecentisti, e anche i più recenti. I nuovi studi rinnovavano il suo spirito, gli