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114 la giovinezza

quella lingua, navigando così destramente tra le esagerazioni degli uni e degli altri, che i novatori non ne furono scontenti, e il Marchese mi diede un bravo. Pure io non ci misi malizia; il mio intelletto era fatto così, e pareva arte quello ch’era natura. Mi è saltato innanzi fra i tanti miei scartafacci un sunto di questi discorsi, essendo mio costume di notare per iscritto i concetti più importanti delle mie lezioni. Quel sunto mi è parso magro e plebeo. Ero solito rifrugare quei concetti in me, e lungamente meditarvi sopra, e poi, parlando, mi rivenivano, ma con più luce e più energia. Quel sunto mi è parso il mio cadavere. Chi mi dà l’uomo vivo? Chi mi dà tanta parte di me, consumata in quel tripudio di un cervello esaltato, mosso da una forza allegra? Tutto questo è morto nel mio spirito, e non posso risuscitarlo. E morte sono quelle analisi e quelle critiche, una collaborazione, nella quale giovani e maestro entravano in comunione di spirito, ed in quell’attrito mandavano scintille. A che giovano le memorie? Di noi muore la miglior parte, e non ci è memoria che possa risuscitarla.

XXII

REMINISCENZE. AGNESE

Sono già parecchi giorni che i medici mi hanno consentito di prendere un boccon d’aria, non piú che un’oretta. Mi è parso uscir di prigione, ed ho respirato a grandi sorsi, e mi sono sentito allargare il petto e i visceri. Mi sono ricordato le lunghe passeggiate di un tempo, li a Capodimonte o sul Vomero; ma ohimè! debbo camminare adagio, e non mi posso stender molto lungi. Oggi, 8 marzo, mi sento meglio in gambe, e sono stato alla solita passeggiata, lungo il corso Vittorio Emanuele. Giunto al convento dei Pasqualini, lá dov’ero solito rimettermi in carrozza e rifare la via, mi è venuta la voglia di far ritorno per un’altra via: tanto, non mi sentivo stanco, e le gambe volevano