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reminiscenze 125

erano tre ore di notte. Zio Peppe s’era coricato e russava potentemente. L’uscio era socchiuso. Entrò lei, e io voleva menarla in salotto. — No, — disse lei, resistendo. Io le parlava a voce alta. — Zitto, — disse lei, — che non si svegli. Menami piuttosto da là. — Ma di là è la cucina. — E sia, — disse lei. Entrando, ci giunse un urlo: — Ciccillo! — Lei scappò, io corsi a lui. — Che rumore è questo? — Io sostenni che rumore non c’era.

Il di appresso fui in casa di un tal don Vincenzo, un giovane chirurgo che mi faceva l’amico, e abitava nella stessa strada. Scherzando, io gli contai il fattarello, l’urlo di zio Peppe e la fuga della mia bella. Egli parlava un po’ alla libera, e mi andava motteggiando sulla mia scelta. Io gli feci mille scongiuri, che la era una giovane per bene, e purissima e virtuosissima, e gli raccontai le passeggiate. Lui mi seguiva, facendo caricature col muso. D’una parola in un’altra, mi usci detto che il suo nome era Agnese, e che abitava di faccia a me. Allora colui scoppiò in una potente risata, lungo tempo trattenuta, sì che io vedea quasi l’interno della sua gola. Mi narrò che quella virtuosa giovane andava spesso a fare una scampagnata coi belli giovinotti, e passava la notte fuori, e a lui stesso incontrò di averla in un giardino, che faceva la schizzinosa e fingeva le convulsioni, con la bava sulle labbra. Orrore!

Quella notte non ebbi pace. Ricordai le intere giornate che non compariva. Ci credevo e non ci credevo. Ero di un animo così delicato, che nella passeggiata non le dissi nulla. Solo le facevo un risolino equivoco. Le dissi che volevo andare a casa sua. Fece un po’ la ritrosa. Una sera ci fui, e l’incanto finì. Quella stanzetta, che innanzi all’occhio dell’immaginazione pareva un tempietto d’amore, mi fece turare il naso, così era sudicia. La trovai insipida, mera materia di piacere. Ella che aveva molta finezza, fiutò il mio disgusto. Il domani mi giunse questo vigliettino: «Carino. Con un po’ più di pazienza e di garbo ti avrei fatto mia vittima. Del resto, quel brutto zio Peppe mi ha fatto il tiro».

Così finì l’avventura.