Pagina:De Sanctis, Francesco – La giovinezza e studi hegeliani, 1962 – BEIC 1802792.djvu/15

Da Wikisource.

zio carlo 9

è una testa dura, — e disse questo con una freddezza, che pareva significare: mai più ci rivedremo. E quando fummo per via soli, zio mi diede un forte pizzicotto al braccio, e mi fece gridare: -Ah! — . Poi disse: — Eh! testa dura, scrivi questo nei giorni nefasti, perché oggi tu hai perduto una bella fortuna — . Io aprii gli occhi, e non ne capii nulla, e andavo avanti tronfio con la testa alta, e parlavamo con Giovannino ancora di Cesare e di Annibale.

Non è possibile poi che io dica quale effetto avesse su me la parte fantastica della storia. Avevo una inclinazione naturale al rêve. Stavo spesso a testa china e taciturno, e zia Marianna ch’era come la governante di casa, talora mi dava un gran grido nell’orecchio, strillando: — Ciccillo! — . Io mi riscuoteva in soprassalto come da un sonno, e zio diceva: — Lascialo stare, quello pensa — . Io mi facevo rosso, perché al dir che io pensavo mi pareva una bugia. Io stavo così concentrato sotto il peso delle mie letture, che mi riempivano il cervello di fantasmi, e non mi lasciavano quieto. Nel mio cervello si formava come un mondo luminoso, nel quale vedevo quei fantasmi come persone vive, e sentivo le loro parole distintamente. E dimorando tutto dentro, non sentivo e non vedevo niente intorno a me. Quei fantasmi generavano altri fantasmi, ed io mi facevo il protagonista della storia, ed era sempre re, imperatore o generale, e davo di gran battaglie, con sapienza di apparecchi e di movimenti, e spesso questi sogni ad occhi aperti duravano più giorni.

Un giorno ch’era l’Ascensione, e l’uso era di mangiare i maccheroni con il latte, mi levai di tavola subito e assai prima degli altri, come soleva fare, perché divorava, non mangiava, e non sapeva cosa mi metteva in bocca. E andai difilato nell’ultima stanza con la testa piena. C’era nella testa la battaglia fra Tancredi e Argante, e Tancredi ero io, e presa in mano una squadra da compasso, assaliva vigorosamente Argante, e lo gittavo rovescio per terra, e mi pareva di montare sulle mura di Gerusalemme, e mi trovai sul davanzale della finestra col braccio teso in fuori agitando la squadra. Sul balcone dirimpetto stava