Pagina:De Sanctis, Francesco – La giovinezza e studi hegeliani, 1962 – BEIC 1802792.djvu/163

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la lirica 157

fece un gesto con la mano, come volesse dire: «Al passato non ci si pensa più». La parte dell’uomo di spirito la fece lui, io feci la parte goffa. Il signor Albanesi non mi disse niente; io capii che se la intesero fra loro.

Intanto in fin di mese non mi trovavo mai bene a quattrini. Guadagnavo allora quanto non ho mai guadagnato in mia vita. Quei cinquanta ducati mi parevano inesauribili, ma pure quei danari del greco si liquefacevano come neve. S’erano introdotti in casa un disordine e una dissipazione a cui non vedevo fine. Mi credevo ricco, e mi trovai povero: maledissi il greco e i cinquanta ducati. Quei chiassi mi davano il capogiro; quel disordine mi stomacava; quella vita non era la mia, e ci stavo per forza. Pensai a ridurre le spese. Soppressi quel bicchiere di malaga che coronava il pranzo, una cattiva malaga che mi pareva sciroppo e mi facevano pagar salata. Il greco mi fece un ghigno, che mi saettò. Pensai che potesse recarlo a meschinità d’animo, e rallentai il freno. In quella baraonda montò la testa anche a me, e, chi il crederla?, tornai ad Agnese. Colsi il pretesto che sua mamma venisse a lavarmi il bucato. Era imbruttita, con aria stanca di malata. Quel riso leggero non le veniva più. Cercammo rianimarci l’uno e l’altra, ma la parola usciva fredda. E non la vidi più. Verso la fine dell’anno, il fratello del greco mi scrisse una curiosa lettera, nella quale c’era qualche frase allusiva alla somma «enorme» dei cinquanta ducati. Quella parola «enorme» mi ferì, perché l’avevo trovata in bocca al greco, insinuatagli dai suoi compagni. E feci una risposta risentita, indicando la spesa che mi costava il greco. Mi portai da fanciullo, e ne venne un pettegolezzo. La fine fu buona: il greco andò via, e abitò in casa del fratello ch’era venuto in Napoli. Ci separammo con segni di cordiale amicizia: ché infine quel povero diavolo non aveva altro torto che d’essere un capo scarico, ed era buono d’indole e di cuore, e si faceva voler bene da tutti. Così, finiti quei cinquanta ducati tentatori, mi sentii più ricco. Rimaneva don Raffaele, che mi si era insediato in casa e spadroneggiava. Glielo feci capir bel bello; non se l’ebbe a male e rimanemmo amici.