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la scuola | 169 |
un codice prestabilito, divenuto convenzionale. C’erano le regole intorno alla preparazione, alla favola, allo snodamento, alla catastrofe, ai caratteri, agli affetti: regole che risalivano fino ai primi tempi della scuola del Puoti. Per lo più le novelle erano fatte sullo stampo boccaccevole; il Marchese richiedeva semplicità nell’intrigo, e naturalezza negli affetti. Il sugo era che, sotto il liscio di periodi misurati e rotondi, c’era superficialità d’immagini e di sentimenti. E questo è bene, come esercizio di scrivere per giovani poco provetti, ai quali manca esperienza della vita e del cuore umano, per guardare più addentro. Ma nella mia scuola era sorto il ticchio di mostrare originalità nell’invenzione, e venivan fuori certe situazioni esagerate.
Il Magliani aveva scritto la sua novella con uno stile castigato e in lingua assai forbita, di che il Marchese gli dié lode. La situazione era un po’ tesa; ma l’ingegno casto e misurato dello scrittore avea saputo togliere gli angoli, rintuzzare le punte, rammorbidirla e regolarla con peso e misura. — Pare una situazione romantica in forma classica, — scappò uno a dire. Il Marchese si fece verde. — Ma questa è roba di lord Byron, — rifletté un altro. Il Marchese non ci vide più. — Lord Byron? E voi leggete lord Byron? E voi, signor Magliani, copiate lord Byron? — Magliani si fece un pizzico, e rimase muto; io non dissi nulla, come di solito, non volendo col contrasto provocare la tempesta. Ma la tempesta venne e scoppiò sul capo di tutti. Se la prese con me, con la scuola, coi giornali, coi romantici e con lord Byron. Poi venne la bonaccia, e com’era di bonissime viscere, ci disse parole dolci e paterne. Lo accompagnammo a casa, che s’era già rabbonito, e frizzava i giornalisti, e faceva il lepido ch’era una grazia. Quella collera era la sua musa, che gli dilatava i polmoni e gli moveva l’immaginazione. Avremmo riso, ma ci teneva la vista di quei lineamenti contratti, temevamo di recargli offesa. Gli venivano osservazioni piccanti. Diceva che i giornali imbarbarivano la lingua, sviavano da’ forti studi, corrompevano il gusto e il cuore. Non concepiva come il governo lasciasse correre tanti vituperi su di una certa stampa, ch’egli chiamava un letamaio. Il romanticismo era l’ultima rovina degli studi. Egli aveva combattuto